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I  R U T E N I  (I  P I C C O L I   R U S S I)  E  MONTEPELLEGRINO
(di Girolamo Mazzola*)
(Per chi utilizza queste informazioni chiediamo di indicare la fonte: http://www.santuariosantarosalia.it/l3/ )

 

I RUTENI

Esistono due diverse etnie chiamate Ruteni:

la prima è una antica popolazione celtica dell’Aquitania, regione della Francia sud occidentale sita fra i Pirenei, l’Atlantico e il Massiccio Centrale con centro in Segodum (odierna Rodez dipartimento di Aveyron). Popolo ben noto a Cesare e citato nel suo De Bello Gallico, si tratta comunque di una popolazione di lontana discendenza iberica;

la seconda, protagonista di questo piccolo saggio, è la popolazione rutena di remota origine Vichinga chiamata anche “Piccoli Russi” che oggi hanno come dimora  un luogo … che non c’è! Come sarebbe?  Così è poiché sono stati smembrati da una serie di spostamenti non di popolo ma di confini, subiti nel corso dei tempi e soprattutto durante le guerre  fra popoli slavi e per ultimo nella seconda guerra mondiale. Anche la religione, così come i confini del loro Stato, è un misto fra oriente e occidente, infatti il loro culto uniate coniuga il rito greco con la fedeltà al pontefice di Roma. (N.d.r.: dal russo unijia – unione – detto delle Chiese orientali o dei singoli fedeli che, distaccatisi dalla comunione con la Chiesa Cattolica Romana dopo lo scisma d’oriente, si sono in seguito ad essa riuniti, conservando una organizzazione autonoma).

Sono una popolazione oggi molto variegata, forti di temperamento e di altissima moralità; la principale qualità è l’ecumenicità che esprimono nella concordia e tolleranza verso la religione e i costumi altrui; sono generosi, suscettibili, talentuosi (Andy Warhol, l’artista padre della Pop art è Ruteno), asceti per natura e caratterizzati da innumerevoli altre qualità; proverbiale lo spirito di sacrificio femminile per le persone care.

La parte più cospicua vive in Ucraina sub carpatica o trans carpatica a seconda dei diversi punti di vista degli altri abitanti di quelle regioni. Il loro territorio è costituito da un insieme di valli in cui scorrono gli affluenti del Tibisco; ma, a proposito della loro dispersione nel mondo, esistono propaggini di Ruteni in Russia meridionale, in territorio politicamente polacco e anche piccoli gruppi etnici di discreta vitalità sparsi in occidente, presenti negli Stati Uniti a Philadelphia e a Pittsburgh, in Canada, in Brasile, in Argentina ma in particolare in Italia, scelta come residenza per l’analogia della tradizione umanistica italiana con la loro. Anche il nome Ruteni non è che la forma latinizzata della parola “Russi”, come si deduce dal fatto che, prima della fine del XII secolo, la parola Ruthenia era usata con le grafie alternative di Ruscia e Russia, nei documenti vaticani scritti in latino, per indicare le terre di Kiev.

In particolare discendono dai Russi kieviani presenti nei secoli XII e XIII nel centro-nord dell’Ucraina fino a quando il nucleo politico e nazionale dei Russi moscoviti si spostò più a nord cagionando una netta differenziazione fra Russi settentrionali e Russi meridionali, questi ultimi dominati dal potere politico polacco-lituano. Il termine Ruteni servì anche a distinguere dai Moscoviti, sudditi degli Zar, gli abitanti slavi non polacchi residenti nella repubblica polacca. Dopo la spartizione della Polonia il termine “Ruteno” divenne anche il nome con cui gli Austriaci designavano in genere le popolazioni della Galizia orientale. Oggi si deve prendere atto che il principale elemento identitario di questa popolazione è  ormai da considerare la loro religione: l’uniate.

I Ruteni furono convertiti nel sec. X dal principe Vladimiro di Kiev, chiamato Basilio alla nascita, divenuto Santo dopo una vita violenta e dissoluta quando, in seguito al battesimo,  impose la sua cristianità in tutto il principato di Kiev e negli ultimi anni della sua vita si comportò con mitezza, generosità e austerità. Il popolo ruteno rimase lungamente dipendente dal Patriarcato di Costantinopoli ma divenne obbediente alla chiesa di Roma nel 1595/1596, in seguito al Sinodo di Brest, mantenendo però i riti e le istituzioni orientali, con l’appellativo, come già detto sopra, di uniati.

La Chiesa rutena, come è oggi, deve pertanto la sua origine  all’atto di unione più importante  e duraturo fra la Sede Apostolica e i cristiani orientali del 23 dicembre 1595, quando i suoi due vescovi Cirillo Terletskij e Ipazio Potij riconobbero, in Vaticano, il papa Clemente VIII come capo supremo della Chiesa, unione confermata poi nel Sinodo di Brest Litovsk di cui sopra accennato. Il loro più grande difensore fu il vescovo e martire Giovanni Kuncewycz, chiamato san Giosafat, che difese la comunità uniate  e intraprese una grande riforma dei costumi monastici migliorando così la chiesa rutena che prese vigore e divenne ricca di vocazioni. Per effetto di tutta questa sua attività si creò non pochi nemici e l’eminente vescovo, nel 1623, fu ucciso a colpi di moschetto e finito con la spada in un agguato organizzato da un gruppo di ortodossi.

In patria i Piccoli Russi erano sempre notevolmente perseguitati, soprattutto dalle autorità sovietiche, in particolare dopo l’annessione dell’Ucraina occidentale alla Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina. Contro di loro si scatenarono deportazioni e imprigionamenti fino a giungere, per imposizione del Soviet che ne aveva arrestato tutti i capi legittimi, al “Sinodo della Chiesa Rutena” con cui veniva stabilita, con la violenza e senza possibilità di opporre resistenza, la decadenza dell’unione con Roma e l’adesione obbligatoria al Patriarcato di Mosca. Ma i fedeli continuarono a seguire la dottrina della Chiesa di Roma, sollecitati dall’enciclica di papa Pio XII Orientales Omnes, che li esortava a sopportare con fortezza e costanza tutte le persecuzioni operate nei loro confronti.

Il rapporto successivo con l’ambiente romano si manifestò principalmente in due modi: il primo fu il tentativo di riportare tutti gli Slavi orientali all’unità della chiesa Romana; il secondo imporre a Roma una scelta linguistica alternativa nei libri religiosi da loro utilizzati: lo slavo ecclesiastico al posto del glagolitico croato antico, per rendere i precetti religiosi più comprensibili ai loro stessi popoli.

La II guerra mondiale ha colpito in maniera molto violenta i Ruteni e la Chiesa Cattolica di rito ruteno nella Russia sub carpatica e in Polonia ove allora erano presenti in maniera massiccia,  anche se appena tollerati dagli stessi polacchi poiché ritenuti cittadini di secondo ordine e impiegati soltanto in lavori piuttosto umili.

Durante il conflitto succedeva spesso che venissero confusi con gli Ebrei e, insieme ai Polacchi, fossero costretti a seguirne la triste sorte. Soprattutto la polizia tedesca e i partigiani lituani li cacciavano fuori dalle loro abitazioni e li raggruppavano malmenandoli e uccidendoli con brutalità indescrivibile. I nazisti sostenevano che i Polacchi, gli Slavi in genere e i Ruteni in particolare, come gli Ebrei, fossero subumani. “Tutti gli abitanti Polacchi di tutte le etnie”, giurò Hitler, “scompariranno dalla terra”. In un memorandum segreto, datato 25 maggio 1940: “Il Trattamento degli Alieni Razziali ad Est”, Heinrich Himmler, capo delle SS scrisse: “Dobbiamo dividere i molti gruppi etnici della Polonia in molte parti e distruggerli il più possibile”.

Come si estrinsecava principalmente la religiosità del popolo ruteno? Fiorenti erano gli ordini religiosi: Studiti, impegnati a rinnovare l’ideale monastico orientale; Redentoristi tutti tesi a convertire al Dio Amore; Mirofore portatrici di aromi, ispirate alle donne che andarono al Sepolcro per ungere il corpo di Gesù; Suore di S. Giosafat, che curavano essenzialmente l’insegnamento; ma soprattutto Basiliani. Tale ordine, devoto a san Giosafat, ebbe un ruolo rilevante nella diffusione del cristianesimo tra la popolazione di Kiev, dell’Ucraina, Bielorussia e gran parte della Russia e anche dopo il dissolvimento del principato di Kiev ad opera dei Mongoli nel 1240 continuarono a svilupparsi in Galizia, Volinia e la stessa Bielorussia. Nell’anno 1492 i Metropoliti trasferirono la loro sede a Vilnius e fu Giosafat Kuncewycz (v.sopra) che riorganizzando la vita monastica sul modello degli ordini religiosi occidentali favorì l’unione di numerosi monasteri, con casa madre presso il monastero della Santissima Trinità a Vilnius e la costituzione basata sulla regola di san Basilio. Il Superiore Generale avrebbe portato il titolo di Protoarchimandrita e si stabilì che i capitoli generali dell’ordine fossero celebrati ogni quattro anni. Papa Urbano VIII confermò la loro costituzione con il breve Exponi nobis il 20 agosto 1631.

I RUTENI E I SANTUARI

I Basiliani Ruteni, oltre a seguire le regole consolidate dell’ordine come in occidente, si dedicavano e si dedicano all’educazione, tutela delle anime, attività editoriale, predicazione e cura dei santuari.

Fu il monaco Basiliano Andrej  Šeptyc’kyj, Metropolita di Leopoli che favorì la riforma del ramo femminile dell’ordine; oggi il Protoarchimandrita risiede presso la casa generalizia di via San Giosafat a Roma, ove esiste una cospicua comunità di Ruteni.

I RUTENI E IL SANTUARIO DI S.ROSALIA

Vi chiederete perché mi sono tanto dilungato sull’ordine dei Basiliani Ruteni. È semplice,  coincidenza vuole che una delle tradizioni riguardanti la vita della nostra S. Rosalia fosse che lei abbracciasse la vita monastica propria della comunità basiliana. Prova ne sia l’esistenza ancora oggi di opere pittoriche che la ritraggono vestita dal saio di monaca di tale ordine con la croce Patriarcale, a due braccia orizzontali, nella mano sinistra.  Il suo convento sarebbe stato il monastero femminile annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio/S.Nicolò dei Greci detta alla Martorana, ove è presente un quadro che la raffigura vestita come l’ordine richiede. Altra prova della sua appartenenza alle Basiliane è la regola del ritiro in eremitaggio in grotte naturali o artificiali da lei seguita che risponde perfettamente a quanto si tramanda della vita di santa Rosalia.

Altra coincidenza che avvicina il culto di santa Rosalia ai Ruteni è documentata da una lapide conservata all’interno del santuario di Montepellegrino, a lei dedicato, fissata alla parete di roccia dove anticamente si trovava un’edicola punica, divenuta poi cappella della Santa. Descrive l’intervento miracoloso a favore di una nave di Ruteni schiavizzati dai Turchi che, dopo aver impetrato il soccorso in loro favore della Santa verginella, il 7 dicembre 1627, riuscirono a fuggire dall’armata navale Turca che li scortava e ad allontanarsi con la loro nave dalla flotta senza subire alcuna ritorsione. Si racconta che l’ammiraglio turco, accortosi della fuga, non riuscisse a virare per inseguirli per effetto di un violento, provvidenziale, miracoloso vento contrario. In segno di riconoscenza alla Santa e, per fare dispetto ai Turchi, i marinai ruteni innalzarono sul monte la bandiera turca per celebrare la loro salvezza ed esprimere la devozione a santa Rosalia. In seguito aiutarono spontaneamente nei lavori di costruzione del santuario dedicato alla Santa (1626/1629) e offrirono una parte del loro bottino per completare la costruzione del tempio.

Spero, con questo mio breve saggio, di aver dato un piccolo cenno del carattere, della storia e delle traversie affrontate da questo sfortunato popolo che ha saputo attraversare i momenti più bui della sua storia con orgoglio e dignità senza pari.

(*Girolamo Mazzola: già bibliotecario e paleografo presso l’Archivio Storico comunale di Palermo e dal 2012 archivista volontario al Santuario di S. Rosalia – Cell. 3396055890)

 

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