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MONTEPELLEGRINO:
LE  VIE  D’ACCESSO  STORICHE  E  LE  TRE  “ACCHIANATE”
(di Girolamo Mazzola*)
(Per chi utilizza queste informazioni chiediamo di citare la fonte: http://www.santuariosantarosalia.it/l5/ )

 L’anno scorso ebbi modo di fare un piccolo “pezzo” su Montepellegrino e l’origine del culto di S. Rosalia. Per chi non ha avuto maniera di leggerlo ne ribadisco i punti essenziali avvalorando il suo ruolo di Montagna Sacra e di simbolo di Palermo.

Il suo nome proviene dalla lontana interpretazione del vocabolo “Peregrinus” in latino classico, nel significato di straniero ma anche di ostile, di nemico.

Appellativo dato dai Romani per le peripezie affrontate combattendo per tre anni prima di riuscire a snidare i Cartaginesi di Amilcare Barca che si erano asserragliati fra le balze inaccessibili del monte. Montagna Sacra, perché?

Semplicemente perché così considerata fin dalla lontana preistoria dai vari popoli avvicendatisi nelle sue grotte e nei suoi anfratti.

Si comincia dai primi abitanti, i Sicani e i Siculi di epoca preistorica, come documentato dai numerosi graffiti di carattere sacro e apotropaico, ritrovati fra gli altri nelle sue caverne, per giungere attraverso i Greci, i Cartaginesi, gli Arabi, i Romani etc., fino ai Palermitani di oggi che venerano la patrona di Palermo: santa Rosalia e ai Tamil di cui alcuni sono devoti alla Santa ma tutti quanti considerano il monte come l’equivalente del loro sito sacro in patria: il Kataragama.

In questa sede, pur con la brevità dettata dalle esigenze di stampa, ci interessiamo delle vie d’accesso storiche al monte più significative e successivamente delle attuali.

Da sempre i principali varchi sono quelli che, sebbene erti e scoscesi, possono tuttavia essere percorsi in tutti i loro tratti senza eccessive difficoltà e precisamente: a Sud la Scala Vecchia; ad Ovest, la Valle del Porco; a Nord il Sentiero della Vuletta (valletta) Grande o dell’Alloro e successivamente di nuovo a Sud la Scala Nuova.

Esistono, tramandate dalla memoria nei secoli, molte altre “strade” più impervie ma ancora percorribili con molta buona volontà e gambe bene allenate.

Si tratta (come riferisce F. Buttafuoco nel testo: Scale di Monte Pellegrino, in Montagne di Sicilia, A. 23, n.7-9, luglio-settembre 1957), di alcuni accessi ancora più remoti rispetto a quelli già citati e più conosciuti: sul versante Est la Scala della Vergine Maria; sul versante Sud la Scaletta Est del Primo Pizzo e la Scala Ovest del Primo Pizzo; sul versante Ovest la Scaletta della Valle della Monaca, la Scala della Vuletta piccola (Fig. 1), la Scaletta del Canalone dello Schiavo, il Sentiero della Valle del Porco, la Scaletta della Valle del Porco, il Sentiero della Pertica, il Sentiero del Canalone della Pietraia e il Sentiero di Valdesi; sul versante Nord la Scala di Valdesi, il Sentiero della Vuletta Grande, la Scala della Vuletta Piccola e la Scaletta della Perciata (apertura).

Altro accesso, particolarmente frequentato in passato, sembra essere stato la Salita dei Portelli, segnalato dal Mongitore e dal marchese di Villabianca nella zona dei Colli; potrebbe corrispondere al citato Sentiero della Pertica o ad un adiacente piccolo sentiero che si diparte nei pressi, chiamato in lingua siciliana Purtidduzzi (porticine).

LA  SCALA  VECCHIA

Ci interessiamo in prima istanza della Scala Vecchia costruita, secondo alcuni autori, fra il 1638 e il 1650 (la seconda delle acchianate): esiste una località del monte chiamata Prima Cupola o anche Lu Rimitu (l’Eremita) che lungo il percorso meridionale si suppone dovesse far parte del varco anticamente denominato della Scala Vecchia e dimostra l’esistenza di una strada anteriore a quella monumentale costruita fra il XVII e il XVIII secolo (la Scala Nuova), fatta costruire dal Senato di Palermo dopo la scoperta delle reliquie di S. Rosalia.

Il termine “Scala” fu usato per la prima volta in occasione della descrizione dell’apparizione di S. Rosalia al saponaro Bonelli (G.Cascini).

Ci si riferisce infatti ad una strada a rampe ripide ancora più antica di quella seicentesca, già documentata nel Medioevo in un testamento del 1337 (P. Collura, S. Rosalia nella storia e nell’Arte, Palermo 1977, p.129, n.13), e confermata durante la costruzione della moderna via P. Bonanno dall’architetto C. De Stefani, il quale ne rilevò la presenza comprovando, com’era da attendersi, che di fatto univa le falde meridionali con il Santuario di S. Rosalia.

Un primo tratto è costituito da un angusto e tortuoso sentiero in parte scavato nella roccia e in più punti gradinato (la “Scala”), probabilmente in comune con la successiva Scala Nuova o molto adiacente e in alcuni tratti parallelo (v.Fig.1), che si immette nella zona della Prima Cupola ma se ne perde presto ogni traccia per l’accumulo di humus e di detrito dovuto alla dolcezza del declivio e per i danneggiamenti causati dalle opere pubbliche realizzate in più secoli per i vari lavori di viabilità.

Riprende il tracciato allargandosi, a mo’ di trazzera, all’incrocio dell’attuale via Bonanno con la deviazione che porta al castello Utveggio, fino al Piano di Bernardo, salendo poi con una serie di tornantini per accostarsi alla Scala Nuova un po’ più a valle fino ad incrociarla nel punto in cui si perviene al Santuario.

Da qui si può solo opinare che necessariamente la strada dovesse proseguire attraverso la località denominata La Croce (ove esiste una antica cappelletta) e scendere fino al versante opposto del monte.

LA VALLE DEL PORCO

La Valle del Porco nell’antichità fu certamente l’accesso principale al Montepellegrino e la via più breve per giungere direttamente alla grotta-santuario (la prima delle acchianate, quella percorsa verosimilmente da S. Rosalia).

Un’ode al signore ed una croce incise sulle rocce recita in greco: “Sii glorificato dovunque sempre, o Dio” in un graffito a circa metà del tratto principale che suggerisce come, in epoca bizantina, fosse una strada già regolarmente percorsa dai pellegrini.

Il sentiero che la attraversa, di cui esistono ancora chiare tracce, è stato battuto prevalentemente per secoli e fino ad oggi dai pastori.

Molto vicino all’imbocco inferiore della valle si apre la Grotta Niscemi, ricca di graffiti che testimoniano la sua caratteristica di luogo sacro.

Continuando nella salita si possono apprezzare i resti di alcuni muri e di una antica cisterna e, attraverso i tratti scavati dal deflusso delle acque piovane, si giunge sui pianori più a monte ove sbocca la Valle del Porco con i due versanti del Cozzo della Mandra.

Siti usati evidentemente a lungo per interessi economici sfruttando la pastura e forse qualche piccola coltura in vista di una certa risorsa idrica disponibile (zona del “Gorgo”).

Uno scavo all’imbocco superiore della Valle del Porco sul poggio della Croce e sul pendio del Santuario porta infatti le tracce della civiltà pastorale di una piccola comunità nel seno della quale probabilmente si fondò l’embrione del culto che, attraverso tanti sincretismi, è giunto fino a noi nella devozione per S. Rosalia.

LA VULETTA GRANDE

Nell’anfiteatro naturale a settentrione in località Addaura (alloro) si inerpica un ripido viottolo, oggi quasi impraticabile perché totalmente coperto da detriti e da vegetazione che sbocca nei pressi di Pizzo S. Pantaleo: il Sentiero della Vuletta Grande (altrove chiamato dell’Alloro in riferimento alla località).

È con tutta probabilità il viottolo di accesso dal lato mare di cui accenna Polibio (Storie cap.56 libro I).

Risalendolo si capisce il motivo per cui, secondo lo storico, i Cartaginesi riuscirono a tenere lontani i Romani dal monte, anche da quel lato, per tanto tempo.

È infatti molto difficile da percorrere ma, ad un certo punto, sbocca in un poggio ove facilmente potevano accamparsi e asserragliarsi le guarnigioni puniche che lo difendevano; prolungandosi poi verso Nord il viottolo incontra la cresta di uno sperone che corre da Est verso Ovest e risulta un ottimo punto di vedetta con la possibilità strategica di poter scendere verso Valdesi, attraverso un piccolo e angusto sentiero (il Sentiero di Valdesi).

 

Occupiamoci ora degli accessi al monte più recenti.

LA SCALA NUOVA

Siamo nel XVII secolo, il Senato palermitano decide di migliorare l’antico camminamento che porta fino alla grotta di S.Rosalia a causa dei notevoli incidenti e dei pericoli che presenta l’impervia Scala Vecchia, mediante la realizzazione della cosiddetta Scala Nuova (la terza e ancora attuale delle acchianate).

Solo in questo modo diventa possibile accedere alla grotta ad un numero maggiore di pellegrini, cui ormai non bastano più i due muli messi a disposizione dal Senato per aiutare nella salita le persone meno abili (ASCP, Atti del Senato, vol.240/62, cc.82v. – 83r.).

Altro motivo è dettato dal maggiore godimento dello splendido paesaggio e … non ultimo dal congruo ritorno che se ne può ottenere da un punto di vista economico. Storicamente la zona più adatta era quella, bene o male, tracciata dalla Scala Vecchia che in effetti spesso scorre parallela o viene intersecata dalla nuova via.

Si tratta di un’architettura abbastanza singolare e ardita; la sequenza delle trentaquattro rampe, in parte su volte e archi, si inserisce nel contesto della montagna determinando con la natura del luogo un particolare equilibrio, forse non voluto ma in pratica ottenuto, fra la strada e il paesaggio.

La prima rampa (Scala Lunga) va dalla Piazza del Campo, in località Piede della Scala, iniziando con un terrapieno e proiettandosi poi sui primi otto archi.

La seconda rampa poggia sui nove archi successivi, la terza ancora su dieci e la quarta su altri cinque, le successive ultime due rampe sono scavate nella roccia.

Il rimanente percorso si inerpica con piccoli terrapieni e si incunea fra i boschetti, a questo punto quasi in piano, per giungere fino alla cima.

Ardita la costruzione, iniziata nel 1674 e inaugurata il 13 maggio 1725 (J. M. Amato), ma continuamente soggetta a provvedimenti di manutenzione e consolidamento per l’usura del tempo e per gli eventi naturali (terremoti, precipitazioni atmosferiche, frane), interventi diradatisi nel tempo soprattutto dopo la costruzione dell’arteria carrabile moderna (via P. Bonanno).

VIA PIETRO BONANNO

Anni 1863 e 1864, l’ingegnere mandamentale Damiani Almeyda effettua un rilievo topografico dalla piazza delle falde fino all’Acquasanta (ASCP – G. Damiani Almeyda Progetto della strada carrozzabile del monte Pellegrino ed alta direzione degli studi …).

È l’inizio del progetto di massima della strada carrabile.

I lavori iniziano nel 1903, prosindaco Pietro Bonanno, e l’Almeyda li dirige da subito; le opere però procedono con estrema lentezza e dopo la sua morte, nel gennaio del 1911, la direzione dei lavori viene assegnata all’ingegnere Carlo De Stefani.

È lui che procede così fino alla conclusione e all’inaugurazione, presente Benito Mussolini, avvenuta nella primavera del 1924 in occasione del terzo centenario del rinvenimento delle reliquie di S. Rosalia.

Verrà aperta al pubblico il 10 luglio successivo per le celebrazioni in onore della Santuzza.

Si tratta di una strada moderna che, sfruttando in gran parte le caratteristiche del monte a volte ripido ma a volte con declivi quasi pianeggianti, attraverso 12 tornanti lastricati in sampietrini di porfido, alcune curve e qualche breve rettilineo, copre i circa 9 km della distanza fra le falde della montagna e la piazza davanti al Santuario.

VIA MONTE ERCTA (PANORAMICA)

Si è anche parlato e progettato di funicolare, ferrovia a cremagliera, doppi ascensori elettrici per autovetture e persone, servizio di elicotteri e chi più ne ha più ne metta ma l’unica altra strada, costruita dal lato di Mondello intorno agli anni ’50 del secolo scorso, è la via chiamata Monte Ercta. Sale con ampi bei tornanti per circa 7 km fino al Santuario ma ha però un grosso handicap: la friabilità della composizione della pietra calcarea di cui è fatta la montagna.

Più volte, nel corso degli anni ed ancor oggi (2013) che scriviamo, a causa delle frane è stata chiusa e durante i temporali e i terremoti un cartello stradale (!) ne inibisce il percorso per motivi di sicurezza.

Ci auguriamo che presto vengano presi provvedimenti per il consolidamento della parete rocciosa e la sistemazione del manto stradale poiché la cosiddetta Panoramica offre ai turisti magnifiche vedute sulla baia, sul Parco della Favorita e su Palermo.

In alto prosegue intersecando lo sbocco della via Padre Giordano Cascini, strada che sale fino al belvedere (458 mt) ove si trova una tribolata statua di santa Rosalia, più volte rifatta perché danneggiata da eventi naturali; ma questa è un’altra storia.

(* Girolamo Mazzola: già bibliotecario e paleografo presso l’Archivio Storico comunale di Palermo e dal 2012 Archivista volontario al Santuario di S. Rosalia – Cell. 3396055890)

 

 

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