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4 settembre 2022

SANTA ROSALIA / “Rosalia, un esempio sempre attuale di amore radicale per il Signore”

L’omelia dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice nella memoria liturgica di Santa Rosalia. Santuario di Monte Pellegrino, 4 settembre

«“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15). Le parole di Gesù con le quali si apre il racconto dell’ultima Cena sono lo spiraglio attraverso il quale ci viene data la sorprendente possibilità di intuire la profondità dell’amore delle Persone della Santissima Trinità verso di noi» (Francesco, Lettera Apostolica Desiderio desideravi, 2). L’amore immenso di Dio per noi si concentra e si rivela nel desiderio ardente che ha di noi Gesù. L’evangelista Giovanni arriverà a scrivere: «Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Sino al massimo! Noi siamo cristiani, siamo di Cristo, apparteniamo al lui, per la forza di attrazione che esercita in noi il suo desiderio di amarci. Siamo attratti dal desiderio che Cristo ha di noi. La fede è questo lasciarsi attrarre da lui, questa resa all’amore di Cristo per noi. La fede della Chiesa o è mossa da quest’attrazione o, tutt’al più, è una mera via di conoscenza o un’etica tra le altre.

Rosalia ci attira per l’amore radicale che nutre per il Signore. Ed è l’amore radicale che ha connotato l’intera sua vita che spiega la scelta fatta dal Lezionario biblico per la Solennità liturgica della Santuzza di prevedere come prima lettura il Libro del Cantico dei cantici, il cantico per eccellenza dell’amore umano, vera metafora che attraversa tutta la rivelazione. L’amore spinge Rosalia a donarsi totalmente al suo Signore, a lasciare tutto per incontrarlo nelle fenditure di questa roccia, nei nascondigli di questi dirupi, desiderosa di contemplare il suo volto incantevole, di sentire la sua voce soave (cfr Ct 2,14).

Nessuna distrazione o disattenzione avrebbe dovuto distoglierla dall’Amato. Il cantico d’amore di Rosalia per il Suo Signore possiamo ritrovarlo nelle parole dei Salmi: «Fuori di Te nulla bramo sulla terra» (Sal 72,25) «poiché il tuo amore vale più della vita» (Sal 62,4). Parole che esprimono esattamente il sentimento della giovane amante di Monte Pellegrino. Rosalia anche di notte, nel talamo ‘cunzatu’ tra queste rocce, alimenta la memoria dell’amore nell’attesa dell’Amato: «Lungo la notte ricordo il tuo nome» (Sal 118,55), «sul mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne» (Sal 62,7).

Il Vangelo odierno è una similitudine sulla prolungata e sfiancante attesa del ritorno del Signore che registra il diffuso rilassamento dei credenti della comunità matteana del I sec. d.C. a motivo del ritardo della parusia. L’attesa però è spossante, erosiva. Spesso spegne il desiderio, affievolisce l’ardore dell’amore, atrofizza l’intelligenza, fa perdere la lucidità, fomenta illusioni, getta tra le braccia di altri. Questo vale anche nella nostra relazione con il Signore: si raffredda l’amore dinnanzi alla prova del tempo – soprattutto in questo passaggio epocale così complesso e liquido, dove viene conclamata l’impossibilità dell’amore sull’onda lunga dell’effimero e dell’esaltazione del singolarismo, – soprattutto se non si ha la lucidità di procurarsi la scorta d’olio per alimentare il desiderio di lui. Lo sposo della parabola è il Messia, il Cristo, il veniente. Quelle vergini siamo noi, i cristiani. La Chiesa, nella globalità dei suoi membri, è detta sposa del Messia: «Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2Cor 11,2), ci appena ricordato l’Apostolo Paolo. Siamo noi la Chiesa di oggi: o prudente o ottusa. Sapiente anche nella notte, o stolta in pieno giorno.

Nel credo della nostra fede, nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano, noi professiamo che Gesù Cristo dopo la sua morte e risurrezione è «salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine». E al cuore della Preghiera Eucaristica, dopo la consacrazione del pane e del vino, l’assemblea tutta risponde: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta!». I cristiani vivono costantemente nell’attesa della venuta definitiva del Signore.

Carissime, carissimi, non spegniamo l’attesa. Custodiamo l’amore immenso di Dio per noi. Se vogliamo contribuire a non spegnere l’amore in questo nostro mondo. Se vogliamo unire le nostre forze con quanti ogni giorno in ogni parte del mondo della casa comune nel silenzio del quotidiano sostengono l’attesa della creazione stessa, «l’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). Teodoro di Mopsuestia arriva a tradurre addirittura questo testo dell’Apostolo Paolo: «La creazione infatti nella sua situazione disperata è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio».

Vegli su di noi la nostra Santuzza. Chiediamo attraverso la sua potente intercessione questo miracolo: nessuno spenga in noi l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Ciascuno e tutti insieme siamo chiamati ad essere audaci artigiani di un mondo infuocato d’amore.

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